Maledette primavere. O no?
In verità, non ho paura della primavera che con i suoi primi tepori ci porta fuori dall'inverno, anche se il Climate change non lascia ben sperare, ma temo le primavere rivoluzionarie !
Se guardo indietro, vedo, la primavera dei popoli, così detta da Carlo Marx, cioè le rivoluzioni europee del 1848 - 1849 che esaurirono rapidamente la spinta rivoluzionaria, e il Regno delle due Sicilie, di cui i nostri paesi facevano parte, scatenò un feroce repressione che riportò il regno in una morte palude, spegnendo così qualsiasi forma di libertà.
Ricordo, nel 1968, la "Primavera di Praga che fu travolta dalle truppe sovietiche e dai carri armati che invasero la Cecoslovacchia: son come falchi quei carri appostati - quando la piazza fermò la sua vita - sudava sangue la folla ferita, così cantava Francesco Guccini, in La primavera di Praga, la tragicità di quei giorni di agosto del 1968.
Chi non ricorda le primavere arabe del 2011 e le conseguenze nefaste a cui hanno dato luogo a livello europeo che ancora oggi ci ricordano il modo approssimativo con cui un certo potere sbarazzò del vecchio per sostituirlo col niente!!
Oggi si vuole una nuova Primavera: quella iraniana che va sotto il nome di regime exchange.
Imposta con la forza, la libertà esportata che ha dato già grande prova in Afghanistan, dove, dopo i russi, gli americani, sono tornati i talebani che hanno chiuso le scuole e hanno confinato le donne in un recinto dal quale è difficile far ascoltare la propria voce e isolando l'intera società.
Come in Irak, come in Libia, in Siria dove dilaga il caos, l'anomia, la guerra di tutti contro tutti.
Che fare? Certamente non restare fermi, perché la storia procede anche tra rivoluzioni fallite che seminano il germe della libertà e della democrazia che devono nascere, però, dall'interno e non imposte in realtà territoriali di cui gli occidentali conoscono poco o niente, per cui l'effetto sarà sempre contrario alle intenzioni di chi esporta democrazia e libertà!!
Eppure, a fine '700, Vincenzo Cuoco, illuminista, storico, pedagogista, aveva individuato, nel Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, che se la rivoluzione napoletana era fallita, lo si doveva all'applicazione acritica di modelli rivoluzionari stranieri, francesi in questo caso, ad una realtà sociale e politica, come quella del Regno di Napoli, che non corrispondeva assolutamente al quadro che i rivoluzionari avevano nelle loro teste.
La storia parla, ma, la cecità con cui si guarda al passato, non permette di cogliere fatti, avvenimenti che, in contesti e modalità diverse, sembrano ripresentarsi sulla scena della storia mondiale.
Beniamino Iasiello
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