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                                                  Socrate

Le elezioni regionali, in Campania, sono prossime e, già da tempo, stiamo assistendo a feroci polemiche non solo tra destra e sinistra, ma all’interno degli stessi schierament; soprattutto a sinistra con la contrapposizione Fico – De Luca. Sono tanti le persone, sempre, più o meno, le stesse, che sono in attesa spasmodica della chiamata per dare il proprio prezioso  contributo alla vittoria finale del proprio partito.

Ma davvero tutti sono in grado di amministrare una comunità? Di occuparsi e preoccuparsi di cittadini che, col proprio voto, si affidano e si fidano di un corpo politico che chiede di poterli rappresentare? L’arte del governo della cosa pubblica presuppone impegno, coraggio decisionale, senso di responsabilità, disponibilità all’ascolto, un bagaglio di conoscenze specifiche e, soprattutto un’idea di quello che si vuol fare: un progetto concreto con obiettivi strategici chiari e il percorso per realizzarli. Un disegno di ampio respiro che miri al bene comune. Che è, poi, il fine di ogni sana amministrazione.

Già Max Weber, uno dei padri della sociologia moderna, in uno scritto del 1919 “Politica come professione” scriveva che si può dire che sono tre le qualità decisive per un politico: passione, senso di responsabilità e lungimiranza. Passione nel senso di votarsi a qualche cosa, di un impegno appassionato verso una causa, la passione non trasforma una persona in un politico se, come servizio a una causa, non fa della responsabilità la stella che indica la rotta del suo agire. E per tale fine ha bisogno della lungimiranza.

Perché in fondo noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo, diceva Josè Saramango. Senza memoria non esistiamo, senza responsabilità non meritiamo di esistere.

Il politico, chi amministra una comunità deve sapere che la “casa comunale, qualsiasi istituzione pubblica” non appartengono a nessuno, se non ai cittadini che, in via transitoria, ne permettono l’accesso agli amministratori che devono curarla massimamente perché essa è data in prestito e non in possesso.

Così da non correre il rischio, come capitò a Narciso, di innamorarsi della propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua e perdersi dietro di essa, perché il politico accorto deve dirigere il proprio sguardo non nella fonte d’acqua chiara che riflette la sua immagine, ma nell’altro per rendersi conto della bontà o meno del suo agire politico.

Anche perché non a tutti è dato incontrare sulla propria strada un certo Socrate[1], come capitò a un cittadino ateniese del IV sec. a. C., capace di far comprendere che non tutti sono in grado di amministrare una comunità se non se ne conoscono le dinamiche sociali, politiche ed economiche in maniera approfondita.  Si racconta che un giorno, il filosofo, passeggiando per la città, come era suo costume, incontrò Glaucone a cui pose delle domande per sincerarsi della preparazione posseduta dal giovane che aveva comunicato agli amici di voler entrare in politica.

Conosci, gli disse, quali sono le entrate della città, cioè l’argento estratto dalle miniere?  In verità, rispose, non mi ero posto un simile problema, pur tuttavia, le entrate si possono incrementare con le conquiste fatte ai nemici.

E’ vero, acconsentì il filosofo, però dovremmo conoscere le nostre forze e quelle dei nostri nemici, ma Glaucone rispose che in quel momento non sapeva che dire perché a mente non le ricordava.

Socrate, allora gli rammentò che certamente le aveva scritte così da non dimenticarle, ma il novello aspirante politico non le aveva neppure scritte!

Per lo meno saprai, continuò Socrate, inesorabilmente, quanti sono i presìdi che militano nel nostro esercito, e quanti se ne trovino sparsi per il territorio? In verità, rispose, io li toglierei tutti perché, invece di fare la guardia, saccheggiano le campagne.

 Ma se togliamo tutti i presidi, gli fece notare Socrate, chiunque potrà prendere del nostro, e poi come fai a dire che saccheggiano le campagne? Lo immagino, disse Glaucone.  Socrate cambiò argomento e, certamente saprai  quanto grano si trovava nei magazzini della città e se bastava o meno al fabbisogno della popolazione.

Sotto l’incalzare delle domande, Glaucone si arrese e riconobbe che la politica era una faccenda troppo seria, per cui sarebbe stato meglio lasciar perdere in quanto se non si era in possesso delle qualità necessarie era meglio indirizzare la propria intelligenza verso altri orizzonti, altrimenti il rischio era  di fare una brutta figura e, soprattutto, mandare in rovina lo Stato.

Purtroppo, oggi, Socrate è stato sostituito da tanti grillini parlanti, dai social, dai leoni della tastiera che ritengono di avere soluzioni per ogni problema, perché soli davanti alla tastiera non corrono il rischio di incontrare un Socrate sulla loro strada, ma soltanto altri leoni che, come le monadi leibniziane, sono incapaci di dialogare, di confrontarsi con punti di vista diversi, perché come Glaucone, prima di incontrare Socrate, ritengono che solo il loro giudizio possa illuminare la notte buia.

Mi auguro che, per  le prossime elezioni, i candidati siano scelti per le loro competenze  e per la loro integrità che sole potranno assicurare una  amministrazione dove il bene comune sia l’obiettivo verso cui mirare.   

E che l'unica contrapposizione tra forze politiche diverse sia solo una lotta di idee con le quali sedurre gli elettori

Così come sempre dovrebbe essere.

                                                                              Beniamino Iasiello



[1] Nell’Apologia di Socrate di Platone, le spingeva, il vecchio filosofo si paragona al “tafano”, un insetto che punzecchia la vecchia cavalla (la città di Atene) per tenerla sveglia. Con le sue domande  risvegliava le coscienze e  le spingeva alla riflessione e a confrontarsi con la verità e la giustizia.

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