Un Sogno comune


 Noi baby boomers avevamo un sogno comune: costruire un mondo libero senza frontiere dove ognuno, come cittadino del mondo, potesse dare il proprio contributo per la costruzione di una realtà che avesse a fondamento il bene comune e la pace. Un’ utopia, che nel breve giro di un sessantennio, si è trasformata nel suo esatto contrario: un mondo distopico svuotato di ogni umanità, dove l’anestesia dei sentimenti domina incontrastata e dove l’altro non è più riconosciuto come un fratello, ma come un nemico che bisogna tenere lontano. Per la serenità della nostra coscienza, doniamo il nostro obolo, fatto quasi sempre di belle parole per la causa dei poveri, dei migranti, dei dannati della terra. Che, però, devono essere invisibili, perché la loro miseria, la loro precarietà non ci ricordi quello che un giorno siamo stati: anche le nostre famiglie hanno  atraversato guerre,  patita la fame e sono andate in terre lontane in cerca di lavoro che solo dà dignità all’uomo. Di tutta quella carica positiva, oggi, non è rimasto che la rabbia nel renderci conto della disfatta totale di quell’ideale e dell’impotenza che deriva dall’ impossibilità di poter influenzare il corso della storia del cui teatro non siamo gli artefici, ma semplici spettatori di un disegno perverso che mirasolo e soltanto al raggiungimento e alla conservazione del potere con qualsiasi mezzo.

Rabbia e impotenza ti prendono quando capisci che non conti niente nel mondo perché nessuno ti ascolta, nessuno sa che esisti e nessuno mai si preoccuperà delle tue ansie, delle tue paure che sono quelle di una umanità intera dedita a faticare per tradurre in realtà le proprie aspirazioni: costruire una famiglia, poter lavorare e vivere in pace. Ma il destino dei popoli sembra dipendere non da ciò che essi desiderano, ma dai sogni folli di despoti che si ergono a giudici di una Storia malata che tendono di modificare a costo di seminare terrore, lutti, disperazione e privare di qualsiasi futuro milioni di persone.

Nella distopia totale di un mondo impazzito non c’è spazio per i sentimenti, per l’umanità: i bambini vengono rapiti , uccisi, venduti o “inghiottiti” dalle acque profonde del Mediterraneo dove affondano, insieme con i loro corpicini, le speranze di tante persone che hanno davvero coraggio, come canta Ivano Fossati nel trascinare le loro suola da una terra - che li odia ad un’altra che non li vuole. Donne stuprate, vecchi abbandonati, la migliore gioventù muore in guerra: fa niente la guerre comme a la guerre che è  lucida follia la quale non tiene in nessun conto la vita umana. 

In fondo, diciamo la verità, a chi interessa se al di là del nostro giardino c’è fame e morte; importante è difenderlo appassionatamente, così come i politici difendono i confini della Patria, della Nazione col rischio di edificare un recinto all’interno del quale si intravedono i fantasmi di un passato che tendono, in forme e contesti diversi, a riemergere.

Cosa è cambiato in questo ultimo sessantennio? Tanto e niente! Tanto perché la società si è evoluta dal punto di vista scientifico – tecnologico in maniera incredibile e quasi incontrollabile, poco se si pensa che l’uomo è rimasto fondamentalmente identico a se stesso – molto se si pensa alle conquiste civili fatte in tutti questi anni, niente se, continuamente, esse vengono svuotate di ogni significato. 

Ci sono momenti della Storia in cui sembra dominare il bellum omnium contra omnes, l’homo homini lupus di hobbesiana memoriama non può essere questo il destino ultimo dell’umanità che, nei momenti più cupi, ha trovato sempre in sé la forza di appellarsi ad un nuovo umanesimo che ha permesso di riconoscere il noi come parte costituente dell’io, cioè di un’etica capace di superare l’orizzonte del semplice io che stringe l’uomo in un sistema chiuso.

E, non a caso, forse, l’unica voce alta e insieme altra e fortemente umana che “grida” contro l’orrore della guerra, madre di tutte le povertà, è stata quella di papa Francesco per il quale l’invocazione della pace sale dal cuore delle madri, è scritta sul volto dei profughi, delle famiglie in fuga, dei feriti, dei morenti. 

 

                                                         Beniamino Iasiello

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