Auschwitz: la fabbrica della morte
Il 27 gennaio di 80 anni fa, le truppe sovietiche entrarono nel campo di Auschwitz, dove circa 7.000 prigionieri vagavano per l'accampamento come anime morte.
Aushwitz - Birkenau era un enorme complesso costituito da 40 campi di concentramento e di sterminio; a Birkenau furono barbaramente ammazzate, passate per un camino, cantava Francesco Guccini negli anni Sessanta, oltre un milione di persone: ebrei, omosessuali, rom, sinti, oppositori politici.
Tutto questo è accaduto, dunque può ancora accadere, ammoniva Primo Levi che quel 27 gennaio del 1945 uscì dal campo di Auschwitz per diventare coscienza della memoria ... perché voglio che la loro memoria non sia obliata, diceva Simon Wiesenthal che dedicò la sua vita per assicurare alla giustizia i criminali nazisti.
Con Se Questo è un Uomo e La Tregua, Primo Levi svelò al mondo la tragedia della Shoah, gli orrori perpetrati dal nazifascismo:
Meditate che questo è stato, vi comando queste parole. Scolpite nel vostro cuore - stando in casa, stando per via - coricandovi, alzandovi - ripetetelo ai vostri figli.
Perciò ricordare per non dimenticare.
Ma serve ricordare per un giorno e dimenticare per i restanti giorni dell'anno?
E i giovani? Come fanno a non dimenticare ciò di cui non sanno niente e di cui nessuno gli ha parlato?
Essi hanno bisogno di conoscere il passato per poter ricordare ciò che è stato, per poter capire gli orrori, l'inferno elevato a sistema, la razionale lucidità del male all'interno dei campi della morte.
I testimoni di quel tempo sono quasi tutti morti e alcuni, tra intellettuali e politici, affermano che Auschwitz, Birkenau, Dachau, Buchenwald, Bergen Belsen non sono mai esistiti e quindi, davvero, come era scritto sul cancello di Aushwitz, Arbeit Macht Frei, il lavoro rende liberi?
Certamente li liberava dai sogni, dalle speranze dalle gioie, dai dolori che appartengono al vivere di ogni giorno, costringendoli ad una vita atroce e a una orribile morte.
La damnatio memoriae, la cancellazione di qualsiasi traccia di ciò che è stato, come se non fosse mai esistito, condannerebbe l'umanità a ripetere, a rivivere la stessa storia, come affermava Santayana.
Che fare?
Ricordare sempre, perché la memoria è garanzia del futuro, non conservazione del passato e ché il dolore possa trasformarsi in consapevolezza e impegno affinché ciò che è stato non possa mai più succedere.
Come?
Con una scuola che sappia essere in sintonia col tempo che vive. Con una scuola in cui si investano grandi risorse per produrre un autentico cambiamento, a partire da una ristrutturazione dei programmi che, per quanto riguarda la storia abbia un respiro globale e non identitario, come sembra emergere dalle ultime Indicazioni nazionali per la scuola del ministro Valditara.
Perché non è possibile affrontare la tragicità del XX secolo dedicandovi poche lezioni, quasi a fine anno, per spiegare e far comprendere un secolo che è stato "protagonista di due guerre mondiali, che ha visto il nascere del totalitarismo nazifascista e di quello comunista.
Ha attraversato Srebrenca, il genocidio degli Armeni, il genocidio dei tutsi, l'Holodomor ucraino, il conflitto arabo - israeliano.
Senza dimenticare il grande esodo dei popoli che scappano dagli stenti e dagli orrori dei loro paesi per sfidare le onde nere del mare nostrum che è diventato la fossa comune per migliaia e migliaia di uomini, donne, bambini.
E' nei giovani che deve radicarsi, attraverso lo studio e non solo, la coscienza democratica, quell'etica della responsabilità che sole possono fare da argine ai rigurgiti antisemiti e a atteggiamenti e comportamenti di intolleranza che si ripresentano sempre quando le difficoltà a vivere o sopravvivere sono legati a tenui, impalpabili fili di speranza.
La memoria, quindi per ricordare, per riflettere, per capire, perché solo così si potrà non dimenticare.
Beniamino Iasiello
P. S.
Sono stato a Dachau e Buchenwald sovrastati da un silenzio irreale; una sospensione del tempo, una tristezza senza fine, un susseguirsi di emozioni che ti avvolgono e ti impongono di non volgere mai più lo sguardo dall'altra parte, perché, l'inerzia, l'indifferenza, l'oblio portano a quel sonno della ragione che finisce col generare mostri.
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